Riceviamo e volentieri pubblichiamo,
... SFRUGUGLIANDO!*
Spendere di più in armi e smantellare la ricerca pubblica non è il modo più intelligente di difendere la Nazione: dovrebbe capirlo anche chi si riempie continuamente la bocca di questa parola
In un intervento sul quotidiano Domani, il responsabile Università del Partito democratico ripercorre la conferenza stampa congiunta che le forze di opposizione hanno tenuto la settimana scorsa alla Camera. In quella sede, sottolinea D’Attorre, hanno “rivolto al governo un appello accorato su tre questioni rilevanti, di cui si sta parlando poco nel dibattito pubblico, ma che rischiano di avere un impatto devastante su quello che dovrebbe essere considerato da tutti uno dei beni fondamentali per il paese, il suo sistema universitario pubblico”.
La prima questione riguarda la riforma del reclutamento dei docenti: il governo vuole abolire l’Abilitazione Scientifica Nazionale e lasciare che i concorsi siano gestiti solo a livello locale, basandosi su un’autocertificazione dei candidati. Questo, ammonisce D’Attorre, eliminerebbe ogni controllo nazionale sulla qualità favorendo localismi e pratiche opache nei concorsi. Il Pd, pur riconoscendo che l’ASN può essere migliorata, chiede di mantenere un filtro nazionale e di avviare un confronto serio con la comunità scientifica, che ha espresso forti critiche.
Il secondo problema è la minaccia all’autonomia delle università. Il nuovo regolamento dell’Anvur (agenzia di valutazione) dà più poteri al Ministero, che potrà nominare direttamente il presidente e gestire fondi premiali discrezionali per gli atenei. Si ipotizza, inoltre, lapossibilità di ridurre il CUN (Consiglio Universitario Nazionale) e affidarene la presidenza alla ministra, togliendo autonomia e rappresentanza a studenti e ricercatori, e la presenza di un delegato del governo nei Consigli di amministrazione delle università. Per D’Attorre, tutto questo equivarrebbe a un’ingerenza politica intollerabile nella vita universitaria.
Infine, la terza questione è quella delle risorse. La spesa pubblica per l’università è in calo — dallo 0,53% del PIL nel 2022 allo 0,51% oggi — e potrebbe scendere ancora allo 0,47% nel 2028. Questo significa 12 miliardi di euro in meno nel corso della legislatura, mentre la spesa militare cresce. In conclusione, meno fondi, meno ricerca e nessuna propspettiva per decine di migliaia di ricercatori precari.
Il governo, al contrario, dovrebbe smettere di tentare di controllare l’università e invece concentrarsi sul finanziarla adeguatamente, garantendone autonomia e qualità, perché l’università pubblica è un bene essenziale per il futuro del Paese.
A cura di Crv
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